Per Luigi Russo (1961)

Per Luigi Russo, «Belfagor», a. XVI, n. 5, Messina-Firenze, Casa editrice G. D’Anna, 30 settembre 1961, pp. 533-534. È il testo dell’orazione pronunciata da Binni al funerale di Russo, Marina di Pietrasanta, 16 agosto 1961.

PER LUIGI RUSSO

Spetta a me, come al piú anziano degli allievi qui presenti di Luigi Russo, e quindi a nome di tutti gli allievi suoi di varie generazioni (tutti debitori a lui di motivi di metodo e di impostazioni di cultura, e di vita), di porgere l’ultimo saluto al nostro maestro morto. Parola quest’ultima che, se ci rende sgomenti e impersuasi di fronte alla scomparsa di ogni esistenza umana, pare addirittura impossibile da impiegare per lui, tanta era la forza di vita, la prepotente e originale vitalità che emanava da ogni atto e scritto di lui, dalla sua intera presenza.

Proprio anzitutto dalla sua presenza fisica, con il suo sguardo profondo, ironico, tempestoso, con il volume pieno della sua voce, con gli scatti dell’umore estroso e geniale e persino con le collere improvvise, che derivavano dalla sua profonda sanità morale e da una incompatibilità assoluta con ogni viltà e con ogni compromesso. E dal suo linguaggio denso e vigoroso, violentemente espressivo e creativo, che faceva di lui non solo uno studioso, ma uno scrittore autentico e personalissimo. E da quella enorme forza di lavoro, eroico e inesauribile, portato avanti in tutte le condizioni, con un’ispirazione mai fittizia, e mai puramente accademica.

Perché Luigi Russo, maestro di metodo quant’altri mai, e studioso rigoroso e preparatissimo, fu maestro insieme di un impegno critico mai puramente specialistico; e se la sua lezione per tutti noi fu il suo storicismo profondo, l’integrazione fra l’interpretazione storica e il giudizio individualizzante (egli che cosí forte aveva per natura il senso della individualità e della storia) e ci offrí esempi in tal senso insuperabili nelle sue opere e stimoli profondi alla visione dialettica e unitaria della poesia e della cultura, egli ci fu maestro anzitutto nella generale visione integrale della cultura e della vita, nel ricambio costante tra l’attività del critico e l’appassionato intervento nei problemi vivi e attuali del proprio tempo.

Sintomatico in tal senso il suo prender parte decisamente, il suo giudizio intero, la sua concezione del letterato antiletterato con cui egli riprendeva modernamente il messaggio degli autori piú suoi come Alfieri e Foscolo. Cosí egli fu combattente eroico nella prima guerra mondiale, fu antifascista militante e poi strenuamente impegnato nella difficile lotta contro il clericalismo trionfante e contro ogni forma di opportunismo e di ateismo pratico.

Sicché, oltre ad opere concrete che sono, per mole e per intensità, fra i massimi contributi della critica e della storiografia attuale, egli ci ha offerto un esempio vivente di letterato e di uomo di cultura veramente moderno. Di fronte alla sua bara pensiamo cosí soprattutto all’uomo intero che abbiamo profondamente amato accettandolo in tutto il suo vigore: non solo grande studioso e maestro di metodo critico, ma uomo ricco di affetti e di passioni: violento nel coraggioso compito di fustigatore di ogni malcostume letterario e civile, sensibile e fedele nell’amicizia e negli affetti familiari, a sommo dei quali, insieme a quello per i figli, campeggia, come Leitmotiv profondo e delicato, l’amore per l’eroica compagna che egli seppe meritarsi tra i crucci e le gioie della sua vita piena e combattuta.

Altra volta io ed altri parleremo meglio e a mente pacata della sua critica, e di tutto ciò che significano centralmente, fra tante tendenze diverse e mode transeunti, il suo insegnamento critico, la sua revisione profonda del crocianesimo e del gentilianesimo piú vivi in direzione di uno storicismo pieno e realistico e pur rispettoso dei valori supremi della poesia. Oggi non potrei farlo e piú mi urge riconoscere pienamente il nostro debito a lui, l’amore e la venerazione che a lui ci legarono e ci legano; e piú mi urge esprimere il sentimento, profondo, qui davanti al suo muto cadavere, della persistenza della sua vita in noi. Fedele a una fede laica di attività e di presenza, fedele alla mente umana creativa, come egli soleva ripetere, «chiesa del Dio vivente», egli continua sin da ora a vivere nell’onda piena di affetto e di vita che ha saputo suscitare in noi, e che la lacerazione del distacco fisico non riesce del tutto a fermare.

Poi, superato questo momento dolorosissimo, ma non il rimpianto del suo colloquio e della sua vista, la sua immagine si farà ancora piú nitida e potente in noi, e, nel nostro lavoro, nel nostro impegno di studiosi e di uomini, sapremo meglio misurare lo stimolo di vita che dal suo ricordo e dalla sua opera a noi viene.

Piú che le lacrime che mal sappiamo frenare, un simile uomo ci chiede l’impegno di essere (nelle nostre possibilità e diversità personali) uomini interi come lui fu, di proseguire il suo lavoro, di combattere per il meglio, di rifiutare la pigrizia e il compromesso, e cosí di farlo continuare a vivere in noi, di renderci degni cosí del dono di averlo avuto amico e maestro.